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ROMA E IL GIUBILEO


Benvenuti alla seconda Passeggiata Romana organizzata dal Rotaract Club Roma-Olgiata.

Piazza Navona:
scenografia ideale della rivoluzione barocca

(a cura di Silvia Zanini)



      Partiamo da S. Andrea della Valle, che fu iniziata dal teatino padre Grimaldi, su progetto dell’architetto Olivieri, e da Giacomo della Porta nel 1591 e ripetutamente ripresa in seguito, perché ci offre la possibilità di cogliere alcuni elementi del barocco nella sua fase iniziale, destinati a rimanere una costante tipica e ad emergere ancora nel barocco più maturo.
Nel 1608 la chiesa fu ripresa da C. Maderno nel 1622, nella cupola, la seconda per grandezza dopo quella di San Pietro, e tra il 1655 e il 1665 da C. Rainaldi nell’altissima facciata di travertino, ispirata a un progetto del Maderno, che a sua volta ricordava la Chiesa del Gesù. Una curiosità: ai capitelli del lanternino della cupola lavorò nel 1621 come scalpellino il giovane Francesco Borromini, che era giunto a Roma qualche anno prima chiamato dallo zio Carlo Maderno a lavorare a San Pietro. La chiesa, consacrata nel 1650, insieme con la Chiesa del Gesù e San Ignazio, è l’emblema della Chiesa della Controriforma, tempio dell’Ordine dei Teatini, uno dei baluardi più intransigenti del cattolicesimo tridentino. Nei pennacchi della cupola, nel catino e nella curva absidale si trova una serie di splendidi affreschi, una delle principali attrazioni di Roma e dei viaggiatori colti di tutta Europa, opere di Lanfranco, Domenichino, Mattia Preti.
      Per godere dell’effetto chiaroscurale che l’architetto ha voluto imprimere alla movimentata facciata, bisogna riacquistare il punto di vista ideale di sguincio: dimentichiamo la presenza del Corso Rinascimento e dello slargo antistante la chiesa e osserviamola dal basso in alto, come doveva capitare a chi, percorrendo l’attuale Corso Emanuele, vi s’imbatteva quasi all’improvviso. La ricerca voluta dell’effetto sorpresa e la metamorfosi della tipologia architettonica rinascimentale della facciata sono il segnale del passaggio da un’epoca all’altra, cioè dall’età del Rinascimento al Seicento barocco, segnali che ritroveremo nelle altre chiese che andiamo a visitare.

      La grande creazione politica del Seicento è lo Stato Nazionale, la sua forma tipica è la monarchia assoluta: Roma diventa il modello europeo di città capitale, la prima ad assumere struttura e figura di capitale, perdendo il carattere municipale e proponendosi, invece, come il fulcro dello Stato e del potere. Lo studio della forma Urbis era iniziata già al tempo di Sisto V, che avvalendosi di un architetto come Domenico Fontana, intese riprogettare il tessuto viario della città in funzione di un’immagine di Roma come centro del potere spirituale ed universale della Chiesa: le basiliche vengono collegate da nuove strade rettilinee, in chiara funzione devozionale.
      La perdita dell’universalismo della Chiesa Cattolica con l’esplosione della Riforma Luterana provocò lo sgretolamento dell’unione europea, da secoli saldato sull’humus costituito dalla comune religione cristiana: la Chiesa di Roma, nel Concilio di Trento, ribadì il primato del Papa sulle eresie riformate e dettò una politica dogmatica, fondata sull’incontrastabile principio della Verità Cattolica e sulla lotta contro l’eresia. Fu ristrutturato l’antico Tribunale dell’Inquisizione, con i suoi orrori e le sue sanguinarie persecuzioni. Roma, centro della nuova religione del Cattolicesimo tridentino, esige un’immagine che renda esplicito ed immediato il suo ruolo: non deve più dimostrare, poiché il dogma è una verità che non ha bisogno di nessuna dimostrazione ed è indimostrabile, ma persuadere i popoli al dogma. Il barocco costituisce, appunto, il linguaggio delle immagini, mezzo di persuasione.


      Percorrendo Corso Rinascimento, incontriamo a destra l’ingresso al Palazzo della Sapienza, l’antica Università fondata nel 1303 da Bonifacio VIII (l’attuale palazzo è opera di Giacomo della Porta): qui Borromini ha costruito S. Ivo, chiesa dalla facciata concava, eretta tra il 1642 e il 1660.
La chiesa rappresenta un unicum nell’innovazione costituita dall’originalissima cupola polilobata che sembra riassumere tutte le forze che derivano dalla pianta, molto complessa, a esagono poliedrico, su su, fino al lanternino cuspidato a forma di spirale. S. Ivo alla Sapienza rappresenta il risultato dell’inquieta religiosità del Borromini, legato all’Ordine degli Oratoriani: la praxis è spiritualità, fervore religioso dell’operare che porta alla salvezza, come nella pittura rivoluzionaria di Caravaggio. L’arte come imitazione della natura, il principio di tutto il classicismo, crolla sotto l’assunto dell’arte come prodotto dell’immaginazione umana, che si esplica attraverso la tecnica, il fare dell’uomo. Non c’è più alcuna rivelazione della Verità da parte di Dio, come avvenne nel Rinascimento: la Natura è imperfetta, è piena di errori e di insidie, e di fronte all’abominio del mondo l’arte si sostituisce ad essa per presentare l’immagine di una realtà altrettanto reale, vera, ma perfetta, bella. L’arte vince la natura. Borromini traccia disegni inquieti, febbrili: non sono progetti, ma i tormentati inizi del fare, come un operaio medievale, un gotico. Rispetto al Cavalier Bernini, Borromini disprezza i materiali nobili, i marmi preziosi: tutto si può fare con i mattoni e lo stucco, perchè il valore non è nella cosa, ma, appunto, nel fare. Milizia dirà che Borromini, più che un architetto, fu uno stipettaio.
      Il problema più interessante del monumento barocco è quello della facciata. Come fatto visivo, la facciata appartiene all’esterno, alla strada o alla piazza: è fatta per il pubblico. La sua funzione è di dimostrare il significato dell’edificio a cui essa è collegata. Per l’architettura del Seicento, la facciata diventa un diaframma tra lo spazio interno dell’edificio e quello esterno della città: mette in comunicazione osmotica due realtà spaziali diverse. Tale interazione si manifesta attraverso l’alternarsi di corpi plastici emergenti a nicchie e rincassi prospettici, oppure tramite l’incurvarsi della facciata concava e convessa.

      Riprendiamo Corso Rinascimento per giungere a Piazza Navona. Esempio eclatante di continuità con l’antico, la piazza ricalca nell’arena la pianta dello Stadio Domiziano (dopo l’80 d.C.). Sin dai tempi di Cesare e di Augusto (I sec. a.C.) l’area veniva usata per i ludi ginnici.
      La trasformazione nell'assetto attuale risale al Seicento: fu decisa da Giovan Battista Pamphili, non appena fu eletto papa con il nome di Innocenzo X, il quale volle ampliare e rendere prestigiosa la residenza della famiglia, il cui primo nucleo risaliva al XV secolo. Girolamo Rainaldi, con il figlio Carlo, e in seguito il Borromini, fecero assumere un aspetto unitario all’intero isolato di case sul lato occidentale. La basilica di Sant’Agnese fu ricostruita con pianta centrale, spostata e rivoltata verso la piazza, assumendo il nuovo ruolo di cappella privata dei Pamphili. Al Bernini fu invece affidata la decorazione delle fontane cinquecentesche, allora ribattezzate Fontana dei Fiumi e del Moro. Il mercato fu trasferito a Campo de’ Fiori; a quest’epoca (fino al 1865) il sabato e la domenica si teneva il tradizionale lago di piazza Navona.
      Infine, nell’Ottocento fu rialzato il livello centrale della piazza; la Fontana del Moro (1653) raffigura l’etiope che lotta con un delfino, opera di G.A. Mori su bozzetto del Bernini. La statua fu voluta da Donna Olimpia Maidalchini per arricchire la vasca; i Tritoni sono copie ottocentesche, mentre gli originali ornano alcune fontane nel Giardino del Lago di Villa Borghese. La piscina intorno alla vasca è dovuta a Bernini, su idea del Borromini.

      In fondo alla piazza si trova la Fontana di Nettuno o dei Calderari, sempre del Della Porta, ornata con sculture ottocentesche di A. della Bitta (Nettuno lotta con una piovra) e G. Zappalà (Nereidi, putti e cavalli marini). All’inizio del ‘900 la piazza rischiò di essere compromessa dai progetti di sfondamento del lato nord per collegare direttamente l’area al quartiere Prati; fu poi aperto Corso Rinascimento, mentre il lato nord, abbattuto per ragioni statiche, fu ricostruito in falso stile barocco, e il lato su Via Zanardelli fu rifatto in stile Novecento dopo le esplorazioni archeologiche che recuperarono le antiche strutture dello Stadio.


      La Fontana dei Fiumi (1648-1651), dominante al centro della piazza, fu l’opera con cui il Bernini si guadagnò il favore del papa Innocenzo X, all’inizio a lui ostile. Nel mezzo, una scogliera da cui escono ad abbeverarsi un leone e altri animali fantastici; le personificazioni dei quattro fiumi, Nilo, Gange, Danubio e Rio de la Plata, simboli delle quattro parti del mondo allora note, sono opera rispettivamente di G.A. Fancelli, C. Poussin, A. Raggi e F. Baratta. Bernini vi alzò un obelisco proveniente dal Circo di Massenzio. La palma, naturalmente scompigliata dal vento, rimanda allusivamente al paese lontano dove scorrono i quattro fiumi, allegorizzando così la fede che getta ombra vivificante su tutti i popoli del mondo. La Fontana rende manifesta la concezione della città barocca di Bernini: la città si fonde con la natura, riconquista la presenza degli archetipi naturali, terra, aria, acqua e fuoco; ma quest’armonia è resa possibile attraverso la tecnica artistica che trasforma il dato della natura per renderlo docilmente ordinato, regolarizzandolo per il tramite dell’arte.

      Borromini, grande tecnico della costruzione, è inferiore a Bernini per invenzione costruttiva: per Bernini, infatti, la praxis è la tecnica miracolosa che realizza l’invenzione della mente: presupponendo la mimesi della natura, quindi partendo dall’oggetto, il fare attiva un processo logico per il quale il fenomeno non resta immobile e esterno, ma rivive nell’immaginazione dell’artista, che ne trasforma la prima sembianza caricandolo di ulteriori significati. Come nella poesia del Seicento, il ‘teatro delle meraviglie’, anche l’arte barocca fa uso di metafore e allegorie, cioè conferisce significati alle cose che in origine esse non possedevano, attraverso le infinite possibilità combinatorie dell’immaginazione, e costruisce ardite ‘macchine teatrali’, mera illusione, ma alternativa ideale alla realtà imperfetta, un bello artificioso, voluto dall’artista.

      La fontana consente di portare nella città l’elemento naturale: la natura è presente nella città come natura modellata dall’arte e rappresentativa, metaforicamente di altro da se’. Essa inoltre offre ‘con magnificenza salutare amenità a chi passeggia, bevanda a chi ha sete, occasione per chi vuole meditare’, come recita l’epigrafe apposta sulla Fontana dei Fiumi, allegoria dell’acqua purificatrice e dissetante per l’anima in attesa di salvezza spirituale. La tradizionale inimicizia tra Bernini e Borromini attribuisce ai gesti delle statue dei Fiumi significati di rivalità tra i due architetti. Il Rio de la Plata alza la mano per scongiurare la caduta della facciata della chiesa borrominiana; il Nilo avrebbe il capo velato (allusione in realtà alle sue sorgenti ignote) per non vedere gli errori della costruzione antistante; a sua volta, la Santa alla base del campanile destro assicura con la mano sul petto che la facciata non crollerà; inoltre, dopo l’insinuazione da parte dei sostenitori del Borromini, che l’obelisco sarebbe caduto dalla fontana, il Bernini, in una notte, l’avrebbe assicurato con quattro cordicelle. Ma sull’inimicizia tra i due architetti si è molto fantasticato. Resta il dato sicuro di una contrapposizione sul piano ideologico e delle scelte diverse in campo artistico.

      Se Bernini fu l’architetto dei papi, attento interprete delle motivazioni ideologiche della Chiesa Cattolica, interessata a rivendicare il suo primato indiscutibile sulla Cristianità, e che da Bernini volle una Piazza come quella di San Pietro, simbolo della nuova Chiesa ecumenica che abbraccia tutti i popoli del mondo, Borromini fu piuttosto l’interprete dello stesso cattolicesimo, ma nell’area più periferica, quella traumatizzata dalle infiltrazioni protestanti, l’area cioè più ansiosa, insoddisfatta, ponendosi quindi sulla stessa linea dei protagonisti della rivoluzione ideologico-culturale in atto a Roma in quel periodo confuso (insieme a Caravaggio, a Giordano Bruno e a Campanella); corrente progressista ma destinata a essere schiacciata dalla prepotenza dei poteri assoluti consolidati. Così Bernini l’avrà vinta sul Borromini, la cui lezione resta, però, in sotterranea, più a lungo vitale.

      La Chiesa di Sant’Agnese in Agone, risalente all’VIII secolo, fu eretta sul luogo dove la Santa fu esposta nuda alla gogna e venne ricoperta dai suoi capelli miracolosamente scioltisi. La costruzione attuale fu iniziata da Girolamo e Carlo Rainaldi nel 1652 e compiuta dal Borromini tra il 1653 e il 1657, al quale si devono la concava facciata a un solo ordine di pilastri e colonne e l’alta cupola; i campanili gemelli furono disegnati dal Borromini e realizzati da A. Del Grande e G.M. Baratta. L’interno conserva ancora la pianta a croce greca del Rainaldi. Forse meno che in S. Ivo, ma anche in questo caso si può cogliere lo sforzo dell’architettura di adattare il proprio possente volume allo spazio vuoto della piazza: sembra quasi che sia l’aria sospinta dal centro della piazza a costringere la facciata a deformarsi, curvandosi verso l’interno.
      A sinistra della chiesa, si eleva l’ampia e piatta facciata del Palazzo Pamphili di G. Rainaldi (1644-1650), dono del papa alla cognata Olimpia.

      Usciamo dalla piazza per Via di Sant’Agnese; svoltando a destra, ci troveremo di fronte alla Chiesa di S. Maria della Pace di Pietro da Cortona, illustre esempio di coinvolgimento tra architettura e spazio circostante. Eretta da Baccio Pontelli (?) nel 1482 c. è costituita da un’aula rettangolare anteriore, seguita da un ottagono a cupola, aggiunto forse da Bramante. Nel 1656 Pietro da Cortona restaurò la chiesa per ordine di papa Alessandro VII con l’aggiunta della facciata con pronao semicircolare a colonne doriche binate e fondale a esedra.
      Il problema di fronte a cui l’architetto si trovò era di tipo urbanistico: decise un intervento molto complesso ed ardito che comportò lo sventramento degli edifici che, in origine, soffocavano la chiesa in modo da garantire alla sua facciata una più ampia visibilità grazie all’apertura ad imbuto, di grande effetto scenografico. Inoltre, venne conferita alla chiesa un’impostazione assiale attraverso le quinte stradali ed il fondale, dal quale la facciata sembra emergere conquistando la posizione dominante al centro della piazzetta. Questa elaborazione finale del Cortona costituisce senza dubbio uno degli esempi più riusciti della ricerca barocca di un effetto sorpresa di tipo scenografico, tramite la collaborazione tra l’edificio ed il tessuto urbano ad esso connesso.



      Ringrazio tutti Voi per la gentile partecipazione a questa iniziativa culturale e ...sportiva !
Vi concedo giusto il tempo necessario per rimetterVi in forze, in vista di una Passeggiata che ci portera’ ad ammirare ... beh! Se volete scoprirlo, Arrivederci alla prossima Passeggiata Romana!


Silvia Zanini



Terza Passeggiata Romana
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