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ROMA E IL GIUBILEO


Benvenuti alla prima Passeggiata Romana organizzata dal Rotaract Club Roma-Olgiata: chiediamo venia a Stendhal per aver preso in prestito un titolo famoso di un suo altrettanto famoso romanzo.

...A caccia di Caravaggio
(a cura di Silvia Zanini)



      Iniziamo la nostra passeggiata incuranti del dato cronologico, che ci avrebbe ragionevolmente imposto di andare a visitare prima i luoghi più antichi, i fundamenta della città, fino a risalire via via nei secoli. Prendiamo, invece, avvio dall'eccezionale figura di un artista del Seicento, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (nato a Milano, non a Caravaggio, nel 1571 e morto a Port'Ercole nel 1610) e giustifichiamo l'incoerenza storica del nostro discorso osservando che nell'ambito di una città, pluristratificata e plurisecolare come Roma, dove ogni angolo di strada, ogni edificio e perfino ogni monumento ricorda la sua millenaria storia, la nostra visita alle tele del Caravaggio ci offre la possibilità di assistere al fenomeno della convivenza di opere d'arte di diversa età nella stessa dimensione spaziale.


      L'augurio di un ingresso felice e fausto iscritto sulla Porta del Popolo per volontà di Alessandro VII era rivolto alla regina Cristina di Svezia che, dopo aver abiurato al luteranesimo, si convertì al cattolicesimo e venne a Roma nel 1655. Nel 1494 attraversò la Porta il re di Francia Carlo VIII insieme ai cardinali Giuliano della Rovere e Ascanio Sforza, per il quale fu eretto il monumento del Sansovino nel coro della chiesa ad angolo con la Porta stessa. La Piazza del Popolo, sorta come punto d'arrivo della Via Flaminia a Roma, dal tempo di Aureliano alla seconda metà dell'Ottocento mantenne la sua forma originaria di trapezio allungato. Il tridente esisteva già, con due mausolei piramidali ed un terzo dei Domizi, dove secondo la tradizione furono deposte le ceneri di Nerone e dove oggi sorge la Chiesa di Santa Maria del Popolo, eretta nel 1099 da Pasquale II. Fu poi ricostruita da Sisto IV alla fine del Quattrocento, divenendo una delle primissime manifestazioni a Roma dell'architettura del Rinascimento e l'elemento più antico della facies attuale della piazza. L'attribuzione è discussa tra Baccio Pontelli, Giacomo da Pietrasanta, autore anche della Chiesa di Sant'Agostino; ma con più probabilità si attribuisce ad Andrea di Bregno, per le caratteristiche lombarde dell'impianto architettonico generale. La chiesa quattrocentesca era a tre navate divise da ampie arcate, volte a crociera e quattro cappelle poligonali per lato; la cupola a spicchi con alto tamburo ottagonale si ergeva su base quadrata. Nel Cinquecento la chiesa fu trasformata per intervento di Bramante nel coro, la cui volta fu affrescata da Pinturicchio. Il convento degli Agostiniani ospitò Martin Lutero nel 1510-1511. Tra il 1655-1661 si verificò la trasformazione barocca da parte di Bernini, sia nella facciata, che all'interno della chiesa. Raffaello costruì la cappella mausoleo dei Chigi e su suo progetto, con Antonio da Sangallo il Giovane, Leone X iniziò la sistemazione del tridente con la Via Leonina, oggi Via di Ripetta. Sangallo progettò anche l'innalzamento dell'obelisco di Ramses II, poi realizzato da Sisto V settanta anni dopo. Per il Giubileo del 1525 Clemente VII sistemò l'attuale Via del Babuino, compiuta solo nel 1543. Nel 1572 venne collocata la prima fontana pubblica di Roma moderna, opera di Giacomo della Porta. Nel Seicento, la piazza fu interessata da interventi barocchi, soprattutto del progetto delle Chiese Gemelle di Rainaldi, con il supporto di Bernini. Infine, nel 1824, fu realizzato il progetto di trasformazione della Piazza del Popolo per opera del Valadier, assumendo l'aspetto che oggi essa presenta.


      Caravaggio rappresenta, tra Cinque e Seicento, la modernità: basterebbe ricordare che stato l'inventor acclamato (e per questo anche a lungo male interpretato) della Natura Morta come genere artistico valido tanto quanto la celebrata Pittura di Storia. Nel 1592 Caravaggio ventenne venne a Roma, stette a bottega presso diversi pittori, finché nel 1596 fu accolto in casa del suo maggior protettore, il cardinal Del Monte, ambasciatore del granduca di Toscana, uomo di larghissima cultura e in rapporto di amicizia con l'arcivescovo Federico Borromeo. L'incontro con il Del Monte costituì un momento decisivo per il pittore, specie per le sue scelte sul piano religioso, con un approfondimento delle tematiche che erano oggetti degli aspri dibattiti di quegli anni. Durante il pontificato di Clemente VIII, eletto nel 1592 con l'appoggio del Borromeo e dei più importanti rappresentanti della corrente borromaica, fu instaurato un clima molto moderato e tollerante nei confronti di atteggiamenti riformatori sul piano della fede cattolica: il Caravaggio, che assunse una posizione rivoluzionaria, sì, ma all'interno del cattolicesimo, contribuì alla formazione di una casistica iconografico-iconologica priva di precedenti, e rispose al dogmatismo del Concilio di Trento accettando l'affermazione della validità del ruolo gerarchico della Chiesa, intermediaria tra uomo e Dio, pur senza ignorare la tesi opposta dei Luterani, che sostenevano invece l'immediatezza del rapporto tra uomo e Dio rifiutando l'autorità dell'istituzione chiesastica. L'avvento sul soglio pontificio di Paolo V Borghese nel 1605 segnò un deciso ribaltamento della politica papale, contraria alle istanze pauperistiche e tesa semmai a confermare il ruolo principe della Chiesa e del papa stesso nella difesa della cristianità minacciata dalla Riforma dilagante. Un artista controcorrente come Caravaggio divenne scomodo, non facilmente inseribile nel solco premarcato della religiosità ufficiale, a causa della sua poetica, che traeva energia propria dalla libertà interpretativa dei testi sacri da parte del credente: nel 1606 il pittore fuggì da Roma per l'omicidio di Ranuccio Tomassoni, con la pena del bando capitale. Da questo momento in poi, egli visse nell'incubo di poter essere catturato, riportato a Roma e, qui, decapitato, secondo la legge. Ne sono drammatica testimonianza i dipinti di Napoli, di Sicilia e di Malta dove, in consonanza con il mutamento ideologico e psicologico dell'artista, cambiano le coordinate tecnico-stilistiche: dai turgidi colori chiari e accesi del periodo romano si passa ad un approfondimento del contrasto chiaroscurale e a un'impaginazione del dipinto su uno sfondo piatto e scuro asfissiante che spinge in avanti i personaggi. Caravaggio finì il suo vagabondaggio disperato a Port'Ercole dove morì male come male avea vissuto, il 18 luglio 1610, senza fare in tempo a tornare a Roma per godere della grazia appena concessagli.

      La massima fortuna va dunque ricondotta al periodo romano, specie agli anni tra 1599 e 1602, in cui il pittore lavorò alle tele per Santa Maria del Popolo e San Luigi dei Francesi, tele che lo consacrarono come il maggior pittore del tempo. La tela con Madonna di Loreto a Sant'Agostino, che vedremo per ultima, ci permetterà di valutare le conseguenze del mutato clima politico della curia papale all'avvento di Paolo V, essendo la tela datata a quell'epoca.

      Tra il 1600 e il 1601, Caravaggio lavora a Santa Maria del Popolo dove, nella Cappella Cerasi, lascia le due tele straordinarie con Conversione di Saulo e Crocifissione di Pietro. Nella prima, la luce proveniente dall'angolo in alto a destra, scivola sul corpo del grande cavallo e abbaglia la figura del santo, caduto a terra. E' il momento decisivo: davanti a noi si sta ripetendo il miracolo. Dio non è presente, ma si dà nella luce, simbolo della Grazia Divina che redime chi sceglie in coscienza la propria salvezza. Il vecchio non si accorge di nulla, nulla può vedere, come l'umanità che non vuole riporre la propria speranza e la propria fede in Dio. Il realismo del Caravaggio, che scaturisce dal profondo contrasto struttivo tra chiaro e scuro, tra luce e ombra, si mescola al simbolismo religioso che la luce (il Bene) assume nella lotta contro il peccato e l'oscurità. Lo stesso tema della luce torna nella Crosifissione di Pietro: la serpentina luminosa che parte dal basso accompagna il moto di erezione della croce, simbolo di passione e morte, ma anche di resurrezione e salvezza. Una vera e propria macchina di sollevamento si sta adoprando per innalzare la croce che, con la sua diagonale, spartisce in due lo spazio pittorico. Pietro, illuminato dalla Grazia, soffre ma sa che dal suo martirio verrà la salvezza, verrà ripagato delle sue sofferenze; tutt'intorno è buio, notte, peccato e i tre carnefici che si affaticano intorno al santo costituiscono i tre punti di forza della macchina: una prima che spinge dal basso, una al centro che trattiene ed una terza che tira verso l'altro. L'umanità accecata dal peccato vive nella tenebra ed è privata della luce sublimante; è ridotta a meccanismo senz'anima che funziona di sola logica ottusa, senza vera comprensione. Non c'è differenza tra questi uomini e la rappresentazione della grossa pietra posta, non a caso, in primissimo piano.


      Attraversata la Piazza, prendiamo Via di Ripetta, e arriviamo al Mausoleo di Augusto, il sepolcro dell'imperatore Augusto e dei principali membri della famiglia giulio-claudia. A pinta circolare di 87 m. di diametro, al di sopra si ergeva un cumulo conico alto 44 m. con cipressi e sormontato dalla statua di Augusto. All'ingresso c'erano due obelischi e vi erano affisse le tavole di bronzo con l'autobiografia dell'imperatore. Nel XII secolo fu trasformato in roccaforte dai Colonna, l'Agosta, poi espugnata e distrutta da Gregorio IX nel 1241. Divenne cava di travertino, teatro, vigna politeama e sala per concerti, chiusa nel 1936. Poco lontano si trova l'Ara Pacis Augustae, eretta tra il 13 e il 9 a.C. per celebrare la pax augusta in tutto l'orbe romano, dopo le imprese di Gallia e Spagna. Consiste in un'ara composta di una mensa, con tre fiancate, elevata su una gradinata e circondata da un recinto marmoreo quadrilatero ornato di rilievi. Presso le porte si trovano i rilievi raffiguranti La Terra feconda e Scene di Sacrificio; sui fianchi, il Corteo della Casa Imperiale e dello Stato. Sulla facciata del basamento verso Via di Ripetta è riprodotto a lettere di bronzo, il testo delle Res Gesta Divi Augusti, il cosiddetto Monumentum Ancyranum conservato ad Ankara.
Proseguiamo per Via della Scrofa e arriviamo a Palazzo Borghese. Iniziato forse dal Vignola dopo il 1560, fu compiuto tra 1605-1614 da Flaminio Ponzio per volontà di Paolo V Borghese, come sfarzosa residenza della casata. Viene chiamato il Cembalo, per la sua particolare forma: il lato che guarda il Tevere è la famosa tastiera del Ponzio.
      Giungiamo alla Chiesa di San Luigi dei Francesi, rappresentante la Nazione Francese a Roma. L'atto di nascita della chiesa risale al Sisto IV, alla fine del XV secolo, ma la prima pietra fu posta solo nel 1518 e i lavori terminarono alla metà del XVIII secolo. Il progetto originario, poi demolito, era un tempio rotondo; un allievo di Antonio da Sangallo, Giovanni Mangone da Caravaggio, è l'artefice della pianta longitudinale. Il completamento con la facciata è opera della fine del Cinquecento di Giacomo della Porta e Domenico Fontana, con i finanziamenti del card. Contarelli e di Caterina de' Medici. I due architetti si attennero al modello michelangiolesco dall'ampio prospetto a due ordini, dalla superficie poco chiaroscurata e orizzontalmente estesa. L'interno è diviso in tre navate senza transetto da otto pilastri con cinque cappelle per lato e profondo presbiterio; una volta a botte ricopre la navata centrale; l'ambiente è rivestito di sontuosi parati marmorei. Tra navata centrale e presbiterio s'imposta la cupola senza tamburo a lacunari esagonali.


      In contemporanea con i dipinti di Santa Maria del Popolo, Caravaggio, tra il 1599 e il 1602, eseguì per la Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi le tele con Vocazione e Martirio di San Matteo e quella di San Matteo e l'angelo, quest'ultima dapprima rifiutata e sostituita con una seconda versione, attualmente in situ. L'originale è andato distrutto durante la seconda guerra mondiale. Il San Matteo della prima versione è raffigurato come un contadino analfabeta la cui mano è direttamente guidata dall'angelo che non solo gli detta, ma sembra proprio il vero autore del testo evangelico; gli sporchi piedi conformi alla poetica del realismo, pretendono di invadere lo spazio dello spettatore con la loro plastica prepotenza. Giudicato poco decoroso, il pittore realizzò nel 1602 la seconda versione dove il rapporto diretto tra umanità ignorante e divinità chi istruisce viene eliminato, spostando l'angelo in volo in alto e, soprattutto, conferendo al santo l'aspetto del dotto saggio che, stavolta, è in grado di scrivere da solo le parole che l'angelo gli detta. Straordinario l'effetto plastico dello sgabello in bilico tra spazio interno al quadro e spazio esterno, mobilitando tutta la figura di Matteo secondo linee diagonali che culminano nell'incontro degli sguardi dei due personaggi.

      La Vocazione di San Matteo s'imposta sul tema della luce strutturante che, entrando dall'angolo destro in alto, rende visibile la scena collocata nel chiuso ambiente in penombra. Il gesto del Cristo, che advocat a se' Matteo, il reprobo pentito che, stupito, ripete lo stesso gesto di Gesù con l'indice, accompagna la striscia di luce: la luce stessa è simbolo della Grazia Divina che salva chi vuole intraprendere la retta via e che non tocca chi, accecato dal peccato, condanna se stesso alla pena eterna (come il gabelliere a sinistra, che continua a contare i denari). Sta agli uomini scegliere di ravvedersi oppure di perdersi, non dalla condizione di predestinazione prospettata dai Luterani. Questo sottinteso polemico va anche inquadrato nell'ambito della stessa chiesa di San Luigi dei Francesi, che rappresentava la Nazione di Francia: in quegli anni, Enrico IV di Navarra, capo degli Ugonotti , si era convertito al Cattolicesimo divenendo così re di Francia e ponendo fine alle guerre di religione.

      Anche il Martirio fu sottoposto a una seconda revisione. Il nodo compositivo del dipinto è costituito dalle tre linee energetiche che, partendo dal centro, si rifrangono come forze centrifughe verso le zone periferiche: il sicario ha appena trafitto San Matteo che, sanguinante, al limite tra vita e morte, cerca verso l'alto la salvezza, accogliendo la palma del martirio che l'angelo viene ad offrirgli; il ragazzo urlante fugge, ancora voltando indietro lo sguardo terrorizzato. I due nudi michelangioleschi sui due angoli bassi del quadro sembrano bilanciare la composizione, quasi a costituire delle quinte che mediano la visuale dello spettatore verso la scena centrale. Un altro gruppo di persone assiste sulla sinistra, attonito, mentre altre fuggono; tra queste, l'autoritratto del pittore. All'ordinata composizione della Vocazione, si contrappone questa del Martirio con la sua soluzione ardita e agitata, dove l'orrore della morte si confonde con la gioia della salvezza e della rivelazione, dove lo stesso carnefice è investito della luce che viene ad accogliere il Santo.


      Svoltato l'angolo, giungiamo alla Chiesa di Sant'Agostino. L'attuale edificio risale alla fine del Quattrocento, come indica anche la data nell'iscrizione sulla facciata. Architetto ne fu Giacomo da Pietrasanta. Gli elementi tipici dell'architettura conventuale sono uniti a quelli rinascimentali di ascendenza brunelleschiana e albertiana: le cappelle laterali absidate, la cupola emisferica su tamburo e soprattutto la facciata a due ordini dalle reminiscenze classiche, rivestita di travertino proveniente dal Colosseo. La gradinata, rifatta nel 1666, dà accesso imponente alla facciata della chiesa. L'interno a croce latina, con transetto absidato fiancheggiato da quattro cappelle rettangolari e coro absidato, è diviso in tre navate da pilastri sostenenti arcate a tutto sesto; la navata centrale e le laterali sono voltate a crociera, con cinque cappelle absidate per lato.


      Un ulteriore ribaltamento dei tradizionali canoni rappresentativi delle Storie Sacre si verifica nella tela della Madonna di Loreto o dei Pellegrini per la Cappella Cavalletti a Sant'Agostino. Di solito questo tema era rappresentato con la Casa di Loreto in volo trasportata dagli angeli dalla Palestina. Qui la Madonna è raffigurata poveramente stante sulla soglia dall'aspetto dimesso, simbolo di accoglienza, rivolta ai due pellegrini inginocchiati. La bellezza della Madonna, in contrasto con la rugosità e la consunzione dei due devoti, indica la sublimità della donna e il fatto che essa rientra nella sfera del divino, insieme con il bambino che rivolge uno sguardo pieno di compassione verso l'umanità: è la rappresentazione della religione degli umili e dei poveri, della Chiesa-Maria che accoglie chi a Lei dimostra obbedienza e fedeltà. Dipinto nel 1605-1606, questo quadro è l'unico che rimase in situ dove era destinato delle tele che Caravaggio dipinse a questa data, quando il nuovo papa Paolo V instaurò un clima più rigido che comportò un brusco mutamento nel comportamento della committenza nei riguardi dell'artista. Nel 1606 Caravaggio prendeva la via dell'esilio prima nel Lazio, poi verso Napoli, la Sicilia, Malta.


      Concludiamo la nostra passeggiata, a caccia dei capolavori di Caravaggio nelle chiese di Roma, giungendo in una delle numerose piazzette del centro storico, Piazza Sant'Eustachio, che prende il nome dalla Chiesa di Sant'Eustachio che fu fondata, secondo la tradizione, sulla casa del Santo, qui martirizzato e sepolto nel 120 d.C.; la chiesa fu ricostruita nel XII secolo e trasformata nel 1724 da Antonio Carnevari. Contro il fianco della chiesa, sono state rialzate due colonne delle Terme di Nerone (62 d.C.), restaurate da Alessandro Severo nel 227. La testa di cervo con croce tra le corna allude al cervo che apparve al Santo; il campanile romanico è del 1196, con trifore e bifore murate. All'interno, altare maggiore opera del Salvi e baldacchino di Ferdinando Fuga. Il Palazzetto, a due piani con cornici delle finestre lavorate a stucco, affrescato con stemma di Pio IV Medici (1559-1565) e cornicione riccamente intagliato. Il Palazzo Maccarani, ora Di Brazzà, è opera del più importante tra gli allievi di Raffaello, Giulio Romano, del 1535, esempio di architettura rinascimentale.




      Non mi resta che porgerVi i miei ringraziamenti per aver preso parte a quest'iniziativa che, mi auguro, possa costituire un buon esempio di 'utile dulci' come si augurerebbe anche il poeta latino Orazio, e Vi invito sin da ora alla Seconda Passeggiata Romana.

Silvia Zanini



Seconda Passeggiata Romana
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