SANTA MARIA MAGGIORE   La basilica patriarcale di Santa Maria Maggiore fu eretta su una delle tre alture poste alla sommità dell'Esquilino, il Cispio, non per commissione dell'Imperatore Costantino, come per San Pietro e San Giovanni, ma per volontà di un papa, Sisto III (432-440). Tradizione vuole che essa sorgesse sulle rovine di un'altra chiesa, fondata un secolo prima da papa Liberio: le indagini archeologiche condotte tra il 1966 e il 1972 hanno però smentito tale credenza.
  Sei metri sotto il pavimento attuale è stato rinvenuto un portico, un tempo ritenuto il Macellum Liviae, oggi identificato con il cortile di una villa suburbana del I secolo d.C. La zona aveva un carattere eminentemente residenziale, dalle Carinae, presso il Foro, fino alle dimore dell'Esquilino, tra le quali celebre quella di Mecenate. Ci sono pervenuti alcuni frammenti di un calendario, dipinto verso il 250 nello spazio porticato.
  Dopo il sacco di Alarico del 410, in cui Capta est urbs quae totum cepit orbem (San Gerolamo), la potenza imperiale dimostrò la propria fatiscenza e incapacità a proteggere la Città Eterna: fu il Papato, già a partire dal IV secolo con Celestino I, Sisto III e Leone Magno, ad assumersi il compito della difesa dell'Urbe, nuovo Caput Mundi, cristiano e classico insieme, la cui potenza non risiedeva più nelle armi, ma nell'autorità spirituale del successore di Pietro.
  E' proprio il ruolo nuovo assunto dall'episcopus di Roma che trova a Santa Maria Maggiore la sua più concreta attuazione.
  L'ingresso doveva essere preceduto da un quadriportico, attestato con certezza solo al tempo di Leone III (795-816), poi ridotto a vestibolo nel XII secolo come testimonia l'epigrafe oggi murata sul fianco destro dell'edificio: questa lunga iscrizione è quanto rimane dell'antica costruzione, cancellata dagli interventi protrattisi tra Cinquecento e Settecento.
  In origine, la basilica misurava 80 metri per 35, presentando una struttura tripartita, senza transetto, con pavimento in commesso di marmi preziosi e soffitto a capriate lignee. L'abside semicircolare, diversamente da San Paolo e da molte fondazioni paleocristiane, era posta alla stessa quota delle navate, dalle quali era divisa da transenne. Solo al tempo di Pasquale I (817-824) l'intera zona dell'altare fu rialzata di quasi 90 centimetri e la cattedra episcopale, in origine alla destra della mensa eucaristica, fu posta al centro del bema.
  40 colonne dell'Imetto, culminanti in capitelli ionici, dividevano la navata centrale dalle laterali; un secondo ordine era costituito da una serie di monumentali lesene, ciascuna fiancheggiata da doppie colonnine a spirale inversa.
  L'antico partito decorativo rimase integro fino al 1593. Vi erano inserite finestre e, inquadrati da edicole ad arco e a timpano alternate, 42 riquadri a mosaico con Scene del Vecchio Testamento, il miglior esempio della cosiddetta rinascenza sistina come ritorno alla tradizione e allo stile della classicità. Il potere pontificio si appropria delle forme espressive dell'arte imperiale, specie traianea, permeandole dei propri contenuti ideologici. Ancora oggi il ciclo è leggibile: la sequenza inizia dal fondo della basilica, a sinistra, per terminare di fronte all'ingresso, sulla parete opposta, obbligando lo spettatore a percorrere cinque volte la navata in senso longitudinale. L'arco trionfale e l'abside sono ornati con mosaici raffiguranti episodi dell'Infanzia di Cristo e l'iscrizione Xystus Episcopus Plebi Dei e, nel catino absidale, del Trono Celeste affiancato dai Santi Pietro e Paolo, andato però distrutto nel Duecento. Sulla controfacciata dominava un'epigrafe celebrante la committenza sistina.
  Il complesso musivo di Santa Maria Maggiore costituisce un unicum: l'impegno intellettuale che tutta la figurazione impone, densa di rimandi alle tesi enunciate nel Concilio di Efeso del 431, è la ragione principale della mancata proposizione di questo ciclo a modello per la decorazione di altre basiliche. Nel Concilio Efesino si era ribadita la maternità divina di Maria Vergine contro l'eresia ariana, molti proseliti della quale si trovavano nella zona circostante la basilica.
  Durante il Medioevo furono costruiti alcuni corpi supplementari collegati alla struttura principale: l'oratorio dei SS. Cosma e Damiano, eretto tra il V e il VI secolo dietro l'abside; quello del Presepe, risalente forse al VI secolo, che doveva contenere la mangiatoia in cui nacque Gesù, reliquia venerata al punto che la basilica venne conosciuta anche con il nome di Santa Maria ad Praesepem. Alla fine del XIII secolo Arnolfo di Cambio intervenne con un progetto di radicale rinnovamento dell'ambiente originario dell'Oratorio: dell'opera di Arnolfo rimangono ancora i Profeti David e Isaia, il San Giuseppe e il gruppo dei Magi, questi ultimi probabilmente di bottega. Alla fine del Cinquecento, Domenico Fontana smembrò tutto il sacello, trasportandolo sotto l'altare della cappella di Sisto V Peretti (1585-1590). Nel trasloco andò perduto anche l'epitaffio su cui compariva il nome del committente, Pandolfo Ipotecorvo, canonico della basilica nel 1291.
  L'intervento arnolfiano rappresentò una parte della grandiosa campagna di restauro e decorazione promossa da Niccolò IV (1288-1292) e dal cardinale Jacopo Colonna, in preparazione del Giubileo del 1300. Fu chiamato lo scultore toscano Jacopo Torriti, autore della nuova decorazione absidale, che comportò la distruzione dell'antica abside sistina, sostituita da una struttura poligonale, come in San Giovanni e Santa Maria sopra Minerva. Quattro finestre archiacute illuminano ancora oggi il catino absidale, permettendoci di ammirare le figurazioni del mosaico nella loro veste originaria.
  Al pontificato niccolino risale anche la costruzione del transetto, profondo 6 metri e largo 35, impresa che doveva uniformare la basilica a San Pietro e a San Paolo fuori le Mura. Dopo alcune trasformazioni nel Quattrocento e soprattutto in seguito al prolungamento delle volte nelle navate laterali, avvenuto nel Settecento, con l'inserimento nella sua parte alta delle tribune per l'organo, il transetto ha oggi perso del tutto la sua funzione. La decorazione ad affresco presenta una lunga teoria di medaglioni in cui campeggiano, tra motivi vegetali, figure di santi, solo parzialmente superstiti. Per l'attribuzione, sono stati proposti i nomi di Pietro Cavallini, del giovane Giotto e di Filippo Rusuti, quest'ultimo certamente attivo nella basilica, autore dei mosaici della facciata, oggi visibili attraverso il rifacimento di Ferdinando Fuga. Il prospetto originale era molto simile a quello odierno di santa Maria in Aracoeli, con l'aggiunta del portico e dei mosaici, che occupavano tutta la terminazione rettilinea. Dei mosaici duecenteschi non rimane che la parte centrale, su due registri sovrapposti.
  Alla fine del XIII secolo, inizio XIV, risale la tomba del cardinale Consalvo Rodriguez, posta presso la porta laterale destra del transetto, firmata da Giovanni di Cosma.
  Tra il 1370 e il 1378 venne innalzato il campanile, ricostruito secondo il modello della precedente struttura romanica, crollata forse per un terremoto: raggiunge l'altezza di 75 metri, superando tutte le torri campanarie di Roma.
  Verso il 1425 venne ordinato dal papa Martino V Colonna il Trittico della Neve, opera di Masolino da Panicale e Masaccio, oggi smembrato. Nella metà del Quattrocento il cardinale Guglielmo d'Estouteville commissionò i maggiori interventi operati nella basilica: furono voltate le navate laterali; fu chiamato il napoletano Mino del Reame a erigere un ciborio che, smantellato dal Fuga nel 1747, sopravvive in alcuni rilievi sparsi in diversi locali della chiesa; fu ristrutturata la cappella di San Michele, lungo il fianco destro dell'edificio, con le figure dei Quattro Evangelisti, attribuiti a Lorenzo da Viterbo, di certa influenza pierfrancescana che però lascia aperta la questione attributiva.
  Tra il XV e il XVI secolo venne costruito il soffitto a cassettoni lignei dorati che Vasari assegna a Giuliano da Sangallo: secondo la tradizione, il papa che lo fece costruire, Alessandro VI (1492-1503), utilizzò il primo oro americano.
  Michelangelo progettò la cappella Sforza nel 1564, sul fianco sinistro, non osando però alterare la lunga teoria dei mosaici sistini. Cinquant'anni dopo, i papi Sisto V (15085-1590) e Paolo V (1605-1621) aprirono le loro cappelle funerarie, rispettivamente nelle navate destra e sinistra: i due organismi cruciformi modificarono con la loro imponenza l'antico assetto della basilica paleocristiana. Gli architetti che realizzarono le due cappelle, Domenico Fontana (1584-1590) e Flaminio Ponzio (1605-1615), vollero gridare la potenza dei loro committenti, facendo sfavillare le loro opere di marmi e di arredi preziosi. Il cardinale Pinelli, nel 1593, promosse un vasto ciclo di affreschi, con Storie del Nuovo Testamento, nella navata: l'impresa, che determinò la chiusura di metà delle finestre, fu eseguita da un'équipe di pittori tardo-manieristi, come Giovan Battista Ricci, Baldassarre Croce, Ventura Salimbeni, Andrea Lilio e Ferraù Fenzoni, Orazio Gentileschi.
  Quasi un secolo più tardi Carlo Rainaldi portò a termine la parte posteriore della basilica, che Clemente X Rospigliosi (1670-1676) aveva affidato inizialmente a Gian Lorenzo Bernini. Vennero distrutti in questìoccasione i mosaici che ornavano la calotta esterna dell'abside duecentesca, riconducibili a Jacopo Torriti. La chiesa assunse il suo definitivo assetto nel Settecento: Clemente XI (1700-1721) fece costruire il palazzo a sinistra della facciata, mentre Benedetto XIV (1740-1758), chiamato Ferdinando Fuga, diede alla basilica l'aspetto attuale. L'architetto realizzò la facciata dove, alle cinque aperture del portico corrispondono tre arcate molto ampie nella loggia, attraverso cui si possono ammirare i mosaici del Rusuti.

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Sito a cura di Silvia Zanini
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