San Lorenzo sulla Via Tiburtina è venuta alla luce durante la campagna di scavi condotta nel nostro secolo. Eretta presso la catacomba dove era stato sepolto il Santo, morto nel 258 durante la persecuzione di Valeriano, la basilica risulta molto simile, anche se di dimensioni maggiori, a San Sebastiano sulla Via Appia. Costruito in laterizio, l'edificio presentava infatti tre navate, divise da archi su pilastri; nella nave centrale, chiusa da un tetto costituito da semplici capriate lignee, si aprivano grandi finestre. Un deambulatorio anulare che correva dietro l'abside congiungeva le due navate laterali. Il pavimento era quasi coperto da lapidi sepolcrali per via della venerazione e del culto delle reliquie del Santo, vicino alle quali i fedeli prediligevano essere sepolti, fiduciosi nel potere salvifico del Santo; ben presto anche le pareti laterali furono utilizzate per tombe a nicchia.![]() L'organismo medievale, tuttavia, svela la sua originalità nella distribuzione dei vani, nell'attento studio delle fonti luminose: i raggi del sole penetravano all'interno solo attraverso le finestre del cleristorio, per diffondersi da qui nelle gallerie e nelle navatelle che, prive di una sorgente diretta, formavano una corona buia intorno allo spazio mediano. Ciò determinava un'emanazione radiocentrica della luce che dall'altare si spandeva nel resto dell'organismo basilicale: una simile concezione, insieme a molti altri dettagli planimetrici e strutturali, è riconducibile all'edilizia costantinopolitana. La calotta absidale venne ornata con mosaici: a testimoniarne la ricchezza oggi rimane soltanto la decorazione dell'arco, ove compare Cristo in trono afiancato, sulla sinistra, dai SS. Paolo, Stefano ed Ippolito, e a destra dai SS. Pietro e Lorenzo insieme allo stesso Pelagio, in atto di offrire il modello della chiesa. Ormai divenuto uno dei più noti santuari di pellegrinaggio, la basilica subì alcuni restauri al tempo di Adriano I (772-795), il papa che lasciò un segno indelebile nel destino medievale di quasi tutte le fondazioni ecclesiastiche dell'Urbe. Nel 1100, in due distinte campagne decorative vennero compiuti gli amboni del ciborio a gabbia, costituito, quest'ultimo, da quattro fusti in porfido che sorreggono un secondo ordine di colonnine trabeate. L'opera, che reca la data 1148, è firmata dai figli di Paolo Romano, quattro fratelli marmorari che all'incirca nello stesso periodo ritroviamo in S. Croce in Gerusalemme e, anche se solo a livello documentario, in S. Clemente. La sommità del tabernacolo si deve ad un restauro ottocentesco che sostituì una copertura a cupola a sua volta risalente, forse, al primo Cinquecento. Fra il XII e il XIII secoilo, mentre intorno alla chiesa si andava formando una vera e propria cittadella, chiamata "Laurentiopolis", destinata a scomparire già in età rinascimentale, il cardinale cancelliere Cencio Savelli, prima ancora di diventare papa con il nome di Onorio III (1212-26), diede inizio alla trasformazione della struttura, che assunse allora il suo assetto definitivo. Al corpo più antico venne semplicemente applicato un secondo organismo basilicale, di più ampie dimensioni: la nave centrale dell'edificio pelagiano, privata dell'abside, divenne, così il presbiterio della nuova chiesa. Per adattarla a questa funzione, essa, che in origine quasi coincideva con il sepolcro del martire, fu rialzata di ben nove scalini: si venne a creare, in tal modo, lo spazio per una piccola cripta decorata. Nella circostanza, fu rifatto anche i, pavimento del corpo orientale, più antico: insieme allo straordinario arredo ecclesiastico, fra cui spiccano i due plutei e la cattedra episcopale, entrambi ancora in situ, esso venne posto in opera verso il 1250, al termine dell'intervento, iniziato più di cinquant'anni prima. L'ampia navata della basilica di Onorio è illuminata da dodici finestre su ciascun lato, mentre le navatelle, piuttosto strette, sono quasi buie, poiché le aperture sono molto piccole. Anche qui il pavimento è opera di maestri cosmateschi e la copertura affidata a capriate lignee. La nave mediana è sorretta da ventidue colonne, la cui distanza varia sensibilmente perché i fusti, sia nel diametro che nel materiale, appaiono molto diversi fra loro: sei sono in marmo cipollino, mentre i restanti in granito delle più diverse qualità, con colori che vanno dal grigio al rosso, dal bianco al nero. Notevoli variazioni si riscontrano anche nelle basi, che differiscono notevolmente in tipo e dimensioni, in modo da compensare le diversità dei sostegni. I capitelli invece, sono realizzati espressamente per la nuova basilica da una bottega di estrema finezza esecutiva. Un analogo mèlange si riscontra nel portico, dove i marmorari romani diedero prova di grande misura e sensibilità nell'uso del materiale di reimpiego: i fusti del portico sorreggono un elegante architrave ornato da motivi cosmateschi, risalente con certezza all'epoca del papa committente, la cui effigie compare, infatti, in un medaglione del fregio musivo. Nella ricerca della paternità per il vestibolo tiburtino, i migliori confronti possono realizzarsi con l'impianto decorativo del chiostro lateranense, riconducendo anche il primo nell'ambito della bottega del Vassalletto. Dopo l'intervento onoriano, che comprese, con tutta probabilità, anche il bel chiostro dagli originali due loggiati sovrapposti, la basilica continuò ad essere oggetto di interventi decorativi, che proseguirono sino alla fine del Duecento: fra questi ricordiamo la tomba del cardinale Fieschi, morto nel 1256,costituita da un sarcofago romano con scene nuziali unito ad un baldacchino cosmatesco, e il ciclo di affreschi del portico, risalente all'ultimo quarto del XIII secolo, che, nella durezza esecutiva delle Storie dei SS. Lorenzo e Stefano, si rivela molto lontano dai contemporanei raggiungimenti della cultura romano-assisiate. Proprio il nartece subì danni molto gravi per via della bomba che il 19 luglio del 1943 investì la basilica, dopo la quale esso venne ricostruito, fin dove possibile, con i materiali originari e ornato con alcuni preziosi reperti, fra cui due bellissimi sarcofagi: il primo, appartenente alla seconda metà del IV secolo, illustra episodi del Vecchio e Nuovo Testamento, il secondo uscito da un'officina attica del VI secolo, è ornato da splendidi motivi bacchici e da putti vendemmiatori. Durante i due secoli successivi si registrano solo lavori di restauro rivolti, in particolare, al campanile romanico: si dovette attendere il cardinale Oliviero Carafa (1492-1503) per un intervento decorativo su vasta scala, andato perduto dopo il radicale ripristino del Vespignani, tra 1864 e 1870. Venne ordinato il soffitto intagliato e furono commissionati dipinti per la galleria e il cleristorio di quella orientale. Dopo che Leone X (1513-1521) rimosse tutti i marmi, i capitelli e le colonne circostanti la basilica, episodio da porre in relazione con la nuova fabbrica di Palazzo Farnese, il cardinale Francesco Buoncompagni promosse il restauro del soffitto orientale e la decorazione della cripta, tra il 1624 e il 1629. Nello stesso secolo venne completamente rinnovata la cappella sotterranea di Santa Ciriaca, in fondo alla navata sinistra della chiesa occidentale, la cui genesi va connessa alla basilica onoriana: vi lavorarono Pietro da Cortona, che disegnò le tombe Aleardi e Guglielmi, e Francesco Duquesnoy, autore dei busti scolpiti sulle sepolture. Dopo la costruzione del retrostante cimitero del Verano, nella prima metà dell'800, Pio IX incaricò di questo intervento Virginio Vespignani, uno dei più accaniti fautori del restauro archeologico, il quale, tra il 1857 e il 1864, riportò la basilica all'assetto impostole da Papa Onorio III, all'inizio del Duecento. L'architetto ha voluto che la chiesa di San Lorenzo tornasse alla sua condizione originaria, liberandola da quasi tutte le sovrapposizioni rinascimentali e barocche, affinché rappresentasse la più affascinante delle basiliche romane, grazie alla sua integra nudità. |