SAN GIOVANNI   Si narra che Costantino, malato di lebbra e ormai prossimo alla morte, vide in sogno i Santi Pietro e Paolo, che gli promettevano la guarigione se si fosse convertito alla religione cristiana. L'Imperatore mandò subito a chiamare il papa Silvestro, che intanto si era rifugiato sul Soratte per timore delle terribili persecuzioni imperiali. Implorando il battesimo, l'Imperatore abbracciò così il cristianesimo e, immediatamente, le piaghe per miracolo scomparvero ed il monarca, in segno di gratitudine, finanziò con munificenza la costruzione del Laterano.
  La cattedrale di Roma venne eretta dall'Imperatore Costantino subito dopo la sua vittoria su Massenzio, nel 312, e rappresentò il primo e più significativo momento del programma di evangelizzazione cristiana della città di Roma promosso dall'Imperatore, prima ancora della promulgazione dell'editto di Milano, nel 313.
  Per ricavare lo spazio necessario, furono rase al suolo alcuni edifici preesistenti, adibiti a caserme dove, sembra, risiedesse anche un corpo di guardie a cavallo schieratosi con il nemico Massenzio. La zona prendeva il nome dalla casa dei Laterani, nobile famiglia romana implicata con la famosa congiura ordita contro l'Imperatore Nerone: Costantino compì un gesto non solo pregno di significato religioso e ideologico, ma anche di natura politica.
  Oltre ai possedimenti dei Laterani, nell'area si trovavano anche gli horti di Domizia Lucilla, la madre di Marc'Aurelio, e la Domus Faustae, dove fu convocato, nel 313, il primo Sinodo, per sanare lo scisma donatista.
  Compiuta in soli cinque anni, la basilica sorse in un punto periferico rispetto all'area centrale della città, costituita dai Fori e dal Campidoglio: la potente aristocrazia della città, che ancora per molti anni rimase fedele agli antichi dei capitolini, rappresentò un limite per la politica religiosa dell'Imperatore, che agì con molta prudenza.
  L'edificio, lungo 98 metri e largo 56, era costituito da un ampio spazio centrale absidato, ai cui lati si allineavano quattro navate, due per lato, di altezza decrescente, terminanti in fondo con due vani, probabilmente sacrestie. Coperta da semplici capriate lignee, la chiesa era ben illuminata al centro, tramite grandi finestre e da lampade d'oro e d'argento, come anche il presbiterio; le aule minori, invece, rimanevano in ombra. L'effetto luministico generale sottolineava, così, l'intenzionalità prospettica propria della basilica paleocristiana, il cui spazio interno è organizzato per dirigere lo sguardo di chi entra nella chiesa verso il fulcro di massima concentrazione luminosa, la zona absidale sfavillante d'oro.
  In origine, nella chiesa si trovavano sette altari d'argento e un baldacchino, anch'esso forgiato in argento e scomparso dopo il sacco dei Visigoti del 410. Il pavimento originale era in lastre di giallo antico inquadrate da campiture brune.
  I saggi di scavo hanno dimostrato che l'attuale impianto ricalca fedelmente quello originario, eccetto nella zona absidale, che subì profonde alterazioni alla fine del secolo scorso. Dopo il sacco di Alarico, nel 455 la chiesa fu sottoposta all'ulteriore oltraggio dei Vandali, che fecero bottino del ricco tesoro. Leone Magno (440-461) provvide al restauro degli arredi e il suo successore, Ilaro (461-468) concentrò la sua opera nel Battistero, aggiungendovi i tre oratori dedicati alla S. Croce, ai SS. Giovanni Battista ed Evangelista, solo nel VII secolo affiancati dal sacello di S. Venanzio.
  Nonostante le ripetute invasioni, la basilica dovette presentarsi splendida nel giorno di Pasqua del 774, quando ospitò il battesimo di Carlo Magno. Nell'896 un terremoto fece crollare il tetto della navata centrale: la copertura lignea venne rifatta una prima volta da Sergio II (904-911), e un'altra volta da Innocenzo II (1130-1143), che si servì delle travi donategli dal re di Sicilia, il normanno Ruggero II d'Altavilla.
  Il XII secolo fu un secolo di fioritura della cattedrale: una serie di pontefici, da Pasquale II (1099-1118) a Celestino III (1191-1198) la preferirono a San Pietro, eleggendola sede della loro sepoltura. Si conserva, invece, il sepolcro di Elena, la madre di Costantino, una grandiosa vasca di porfido estratto per volere di Anastasio IV (1153-1154) dal mausoleo sulla via Casilina, finché nel Settecento venne collocato nei Musei Vaticani.
  Tradizionalmente si data verso la metà del XII secolo il rifacimento del portico orientale, probabilmente opera della bottega dei Vassalletto, durante il pontificato di Onorio III (1216-1227). Il portico è andato distrutto nel Settecento; si conservano solo i frammenti dell'iscrizione frontale, nel chiostro, che celebra la supremazia del Laterano su tutte le altre chiese, in consonanza con la politica ecclesiastica del maggiore dei papi del Medioevo, Innocenzo III (1298-1216): questi accolse in San Giovanni San Domenico e San Francesco, i due protagonisti del profondo rinnovamento della vita religiosa del Duecento. Lo stesso papa commissionò due porte bronzee, realizzate da Uberto e Pietro da Piacenza: una, in origine all'ingresso della Scala Santa, si trova oggi nel Battistero; l'altra venne situata nel fianco della basilica, nel chiostro che il papa commissionò ai Vassalletto nel 1215.
  Lungo i quattro lati coperti è conservato un vero e proprio museo lapidario, dove si trovano frammenti talvolta eccezionali, come il monumento funebre del cardinale Riccardo Annibaldi, opera di Arnolfo di Cambio del 1289. Come in S. Maria Maggiore, l'intervento di Arnolfo di Cambio avvenne nell'ambito di un cantiere più vasto, promosso dal primo pontefice francescano, Niccolò IV, che volle ricordare il proprio intervento in una lunga iscrizione dedicatoria.
  La predilezione del pontefice per la basilica lateranense si lega con il celebre racconto di San Bonaventura, secondo cui Innocenzo III avrebbe abbracciato la Regola francescana dall'apparizione in sogno del Poverello di Assisi che reggeva sulle spalle la pericolante basilica di San Giovanni. Il primato della basilica del Laterano era inoltre appoggiato dalla famiglia dei Colonna, cui il papa era infatti molto legato, in opposizione agli Orsini, fautori del primato Vaticano. I lavori coinvolsero soprattutto la zona del presbiterio, dove furono costruiti un transetto, di cui ancora oggi rimane traccia nel frontespizio dalla fisionomia medievale situato sul braccio destro, ed un'abside gotica, dal profilo esterno esagonale, con deambulatorio, sorta sul perimetro di quella costantiniana, su cui si aprivano quattro finestre ad arco acuto. Il catino fu ornato con un mosaico di Jacopo Torriti (1289-1291), insieme a frate Jacopo da Camerino. Nel secolo scorso, per l'ampliamento del coro, venne distrutta l'abside medievale, perdendo così anche la decorazione del catino. Il mosaico odierno è una copia ottocentesca, fedele all'antico per l'iconografia.
  Sempre nel corso di questi interventi decorativi, Jacopo Torriti realizzò sulla facciata orientale il volto del Cristo, inserito nel Settecento in un clipeo sorretto da angeli. Papa Niccolò IV volle anche costruire una nuova cattedra episcopale al centro dell'abside, per sostituire l'originale del V secolo (oggi conservato, frammentario, nel chiostro).
  Uno dei più insigni monumenti di papa Caetani, la loggia delle Benedizioni, venne distrutta nel Cinquecento: si conserva solo una parte ad affresco, murata nella navata destra della chiesa. Il soggetto è stato tradizionalmente identificato con L'indizione del Giubileo, ma in tempi recenti si è ritenuto di interpretare la figurazione con Bonifacio prende possesso del Laterano, commemorazione della cerimonia del 1294, dopo il gran rifiuto di papa Celestino V al soglio pontificio. L'affresco viene generalmente attribuito a Giotto, ma, alla luce della nuova ipotesi interpretativa, esso andrebbe piuttosto ascritto a Pietro Cavallini.
  Nel 1304, quando Clemente V trasferì la sede papale ad Avignone, il periodo di fioritura della basilica si interruppe bruscamente. Quattro anni dopo, il complesso venne distrutto da un incendio; nel 1349 un violento terremoto e, undici anni dopo, un secondo, terribile incendio, ridussero l'edificio ad una rovina. Da allora, la basilica lateranense giacque in stato di semiabbandono, suscitando l'infiammata requisitoria di Petrarca che, in una lettera a Urbano V, fuggito in terra francese, così accusò il pontefice: "Con quale animo tu, vicino alle rive del Rodano, riesci a prendere sonno protetto da soffitti dorati, mentre il Laterano (...) giace in terra?".
  Urbano V (1362-1370) e il suo successore intrapresero imponenti lavori di restauro. Protagonista del cantiere fu Giovanni di Stefano, che ripristinò il tetto e le pareti; alle 22 colonne costantiniane furono sostituiti 20 pilastri ottagoni in laterizio, dono dei cittadini romani; venne eretto il gigantesco tabernacolo (1369) posto sopra l'altare maggiore, realizzato con il contributo di Carlo V di Francia: dodici affreschi di Barna, pesantemente ritoccati nel Quattrocento, ne decoravano l'esterno. Sin dal 1370, il ciborio ospitò le teste dei SS. Pietro e Paolo, in origine entro appositi reliquiari di Giovanni di Bartolo, preziose custodie scomparse nel XVIII, oggi sostituite da copie in argento.
  Al ritorno da Avignone nel 1377, Gregorio XI preferì al Patriachìo lateranense una residenza più vicina alla città, scegliendo di prendere dimora nei palazzi del Vaticano. Tuttavia, San Giovanni non fu trascurata, ma si provvide al rifacimento del prospetto settentrionale: lasciando al loro posto i due campanili antichi, vennero aperti un rosone e un portale fiancheggiato da leoni stilofori. Dopo l'aggiunta dell'attico a metà del Cinquecento, la facciata subì pesanti manomissioni nel 1586, quando Fontana aggiunse il portico e la nuova loggia di Sisto V, rimuovendo le fiere trecentesche, oggi perdute.
  Nel 1413 le truppe di Ladislao d'Ungheria danneggiarono nuovamente la chiesa. Martino V (1417-1431) provvide a immediati lavori di restauro inerenti il pavimento, dal bel disegno cosmatesco, e il soffitto, affrescato da Gentile da Fabriano insieme al discepolo, Antonio Pisanello. Le pitture ornavano la navata destra, estendendosi lungo tre registri per uno spazio di otto intercolumni, e raffigurando i Profeti e le Storie del Battista, scomparse nel rifacimento barocco del Borromini. Ai piedi dell'altare si trova la tomba di Martino V, tradizionalmente attribuita all'orefice romano Simone Ghini e datata al 1443; ma oggi si propende per un anonimo maestro operante verso la fine del terzo decennio del Quattrocento.
  Eugenio IV (1431-1447) rifece il portico e pose cinture di mattoni a rinforzo delle antiche colonne di Costantino, ormai pericolanti.
  All'epoca di Pio IV Medici (1559-1565) risale il grandioso soffitto della navata centrale, eseguito dall'ebanista Boulanger su disegni di Daniele da Volterra. Nel 1564 Giacomo della Porta vi lasciò uno dei suoi capolavori, la cappella Massimo che, nel 1573, accolse la Crocifissione di Siciolante da Sermoneta, tuttora in situ.
  Sisto V Peretti (1585-1590) fece distruggere sia la loggia di Bonifacio VIII, sia il venerando oratorio della S. Croce, concentrando la sua attenzione nel retrostante Palazzo, destinato nei suoi progetti a divenire la residenza estiva dei papi. Il progetto fu affidato al suo architetto preferito, Domenico Fontana, autore della loggia a due ordini, interamente decorata da una schiera di pittori diretta da Cesare Nebbia e da Giovanni Guerra. Nell'estate del 1993 un attentato terroristico ha gravemente danneggiato uno dei più interessanti episodi dell'arte tardo-cinquecentesca. Nella stessa circostanza, hanno riportato lesioni gli affreschi del transetto, dovuti al papa Clemente VIII (1592-1605): il vasto complesso pittorico vide all'opera i migliori pennelli del tempo, da Gentileschi a Nebbia, da Baglione a Roncalli, da Nogari a Ricci a Bernardino Cesari, secondo un preciso programma iconografico elaborato dal cardinal Baronio. Il papa Aldobrandini s'interessò anche delle sacrestie dei Beneficiati e dei Canonici, affidata quest'ultima ai fratelli Alberti, i migliori quadraturisti dell'epoca, e ad Agostino Ciampelli.
  Dopo la costruzione della cappella Santoro di Onorio Longhi (1602) e della cappella Colonna di Girolamo Rainaldi (1605), gli interventi al Laterano sembravano essersi esauriti. Quarant'anni dopo, quando Innocenzo X riprese il restauro, l'edificio era quasi al collasso, dopo il disinteresse dei papi Paolo V e Urbano VIII, altrimenti munifici nei riguardi di San Pietro.
  Papa Pamphili (1644-1655) affidò al Borromini l'incarico di restituire alla cattedrale l'antico splendore, imponendo all'architetto condizioni restrittive, come l'obbligo di terminare i lavori entro il Giubileo, di conservare la struttura originaria della basilica e il soffitto cinquecentesco che, invece, Borromini avrebbe sostituito con una grande volta a botte coronata da una cupola.
  Virgilio Spada, soprintendente al cantiere, non si era mostrato troppo indulgente nei confronti dell'architetto, anche se alla fine dovette riconoscere che i risultati avrebbero certo soddisfatto le attese del papa: "Tutti li virtuosi di questa professione in Roma stavano osservando che cosa fosse per fare il Boromino, credendolo tutti arenato in questa grande difficoltà, ma la conclusione fu che il cornicione (del soffitto) dall'una e dall'altra parte si è aggiustato senza scorgersi come habbia fatto, con tale avvedutezza, che difficilmente si può scorgere l'artifizio".
 
Entro il 1650, inoltre, Borromini terminò anche le navatelle laterali, la cui decorazione, in cui trovano posto e vengono valorizzate le antiche tombe medievali, costituisce uno dei suoi capolavori.
  L'intervento più importante del Settecento fu la costruzione della nuova facciata, per la quale fu bandito un concorso, nel 1731, vinto dal fiorentino Alessandro Galilei; sembra che la competizione non sia stata del tutto regolare, poiché Clemente XII (1730-1740), di origine fiorentina, avrebbe appoggiato il progetto del suo concittadino, ai danni di Luigi Vanvitelli, classificatosi secondo, il cui progetto appare in realtà superiore a quello del vincitore effettivo. Lo stesso Galilei eseguì la cappella Corsini, del papa stesso, nella navata sinistra della chiesa.
  La facciata e il portico retrostante, che abbracciano tutta la larghezza dell'edificio, erano già compiuti nel 1735, quando vennero eseguite le 15 statue della balaustra. Piranesi pensò ad un ampliamento della zona dell'altar maggiore; un secolo dopo, Andrea Busiri consigliò di utilizzare macchine a vapore per spostare il coro, ma l'ingegnosa proposta venne accantonata al tempo di Leone XIII (1878-1903), che preferì una soluzione più radicale e l'abside gotica venne rasa al suolo.

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