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Le tappe della graduale conversione al parlato in Modern Times e in The Great Dictator

Tempi moderni

     Dopo City Lights Chaplin intraprese un lungo viaggio intorno al mondo di circa sedici mesi; aveva bisogno di un periodo di riposo, ma soprattutto di riflessione per capire che cosa stesse succedendo nella sua vita: "le delusioni d’amore, la fama e la fortuna mi avevano reso come apatico avevo bisogno di stimoli emotivi come tutti gli egocentrici mi ero chiuso in me stesso. Volevo rivivere la mia giovinezza".

     Nonostante tutto, al suo ritorno, si trovò solo, confuso e senza progetti: in poco più di un anno Hollywood era molto cambiata, si era trasformata in un’industria seria e organizzata, si costruivano complicati apparati radiofonici, enormi macchine da presa si muovevano goffamente per gli studi; il tempo del cinema muto si era ormai concluso, quasi tutti i suoi divi erano scomparsi dalla circolazione: Charles Chaplin era uno dei pochi rimasti, ma non si sentiva pronto ad affrontare di nuovo il sonoro; in City Lights lo aveva sfidato ed aveva vinto la battaglia ma non la guerra, non sapeva per quanto tempo avrebbe potuto continuare a fare film muti senza correre il rischio di essere ritenuto superato. Il suo stato di depressione arrivò al punto tale di pensare di lasciare tutto e di ritirarsi a vita privata in Cina, come lui stesso ha dichiarato nella sua autobiografia. Per Chaplin era troppo scottante ammettere che la pantomima, l’arte in cui meglio si era specializzato, fosse incompleta ed andasse definitivamente sostituita, pertanto, davanti all’eccitazione del grande pubblico dinanzi ai nuovi film sonori, esitava a rimettersi al lavoro.

     Per fortuna la sua genialità e la sua vena creativa non tardarono a farsi risentire: il boom delle industrie, l’impiego sempre più frequente della tecnologia nel mondo del lavoro e soprattutto il diffondersi delle catene di montaggio diedero a Chaplin lo spunto per un nuovo film e nel Settembre del 1933, dopo più di due anni di inattività, cominciò le riprese di Modern Times, un film che in sostanza è una violenta critica contro le aberrazioni del capitalismo negli Stati Uniti e soprattutto contro il sonoro.

Tempi moderni

     Nonostante la sua ostilità al sonoro, come abbiamo visto, Chaplin aveva fatto uso di suoni e rumori sin dai tempi di City Lights e anche in Modern Times si era addirittura interessato a creare di persona gli effetti sonori, l’importante era che il vagabondo non parlasse.

     Ma i tempi stavano cambiando, ed anche se Chaplin continuò sempre a ritenere che il cinema fosse l’arte del silenzio, da questo momento cominciò a rompere progressivamente il suo ostinato mutismo, ma non come altri artisti del cinema muto che avevano ceduto al sonoro prima di lui. Infatti "in Modern Times Chaplin utilizza il dialogo organicamente affine al soggetto della materia trattata, nel senso che gioca con l’idea del suono inteso come uno sviluppo tecnologico". Nel film le prime ad introdurre il sonoro sono le fabbriche, con il loro rumore assordante, seguite dalla voce del direttore che comunica con i suoi dipendenti tramite uno schermo e dai rappresentanti della macchina per mangiare che spiegano al direttore la loro invenzione non a voce, ma attraverso un disco pubblicitario con una voce registrata. Questo insolito uso del parlato si oppone alla storica scena dove, finalmente, anche il vagabondo pronuncia le sue prime parole dopo più di venti anni di silenzio, ma Chaplin si è rivelato originale anche in questo evento; infatti Charlot usa la sua voce per la prima volta sullo schermo non per parlare ma per cantare, e per di più in un linguaggio di sua invenzione; in tutto ciò Chaplin vuole mostrare il contrasto tra gli uomini tecnologici della prima parte del film, in grado di parlare solo attraverso dei mezzi elettronici, e la spontaneità del vagabondo che è il primo vero uomo a parlare da solo in tutto il film.

     Bisogna apprezzare l’audacia che Chaplin ha dimostrato facendo parlare il suo omino con i baffi, soprattutto perché è riuscito a farlo rimanere un personaggio internazionale. Con Charlot, Chaplin, ha creato una maschera, una figura universale grazie alla quale ha reso l’arte della pantomima un linguaggio comprensibile ad ogni abitante del globo "Charlot è tanto chiaro nel suo agire che non ha neppure bisogno della parola ha trovato un linguaggio sincero, immediato e questo gli basta". Per questo il problema di fondo di Chaplin nell’era del sonoro era proprio di chiedersi come avrebbe dovuto parlare una maschera, quale sarebbe potuto essere il linguaggio giusto per un omino così buffo. Chaplin avrebbe dovuto coniarlo lui stesso, di sana pianta, solo ed esclusivamente per Charlot, ed infatti è pressappoco quello che fece: in Modern Times il vagabondo parla ma, per non discriminare nessuno di coloro che lo stanno ascoltando, si esprime un po’ in francese, un po’ in inglese, un po’ in spagnolo, un po’ in italiano, riuscendo ad accontentare tutti proprio perché il suo linguaggio non è comprensibile a nessuno. Facendo ricorso alla pantomima, Chaplin ci suggerisce la storia di un seduttore e di una ragazza, dimostrando ancora una volta come le parole non servano nei suoi film, perché non aggiungono niente alla comprensione. Non a caso, prima che il vagabondo parli, Paulette Goddard, tramite la didascalia recita: -Lascia perdere le parole. Canta-.

     Usando il sonoro ed il dialogo in questo modo Chaplin concede al vagabondo un altro periodo di tregua prima che si decida a farlo parlare definitivamente.

Il Grande Dittatore

     Infatti il 15 Ottobre del 1940 esce The Great Dictator, il primo film sonoro di Charlie Chaplin, in cui abbiamo di nuovo una situazione di contrasto sonoro: Chaplin interpreta Hynkel, che parla a voce alta, in modo arrogante, usando spesso dei microfoni, ed il barbiere ebreo, "uno Charlot divenuto meno maschera e più uomo vivo", che al contrario parla poco, con calma e con educazione. Hynkel a volte si esprime in tomanico, un linguaggio incomprensibile, un po’ come il vagabondo di Modern Times, ma questa volta il motivo di quest’uso stravagante della lingua è diverso: "la canzone del vagabondo è il suo modo per provare a sopravvivere senza essere soffocato dalle minacce sociali", Hynkel, invece, parla in questo modo per controllare, manipolare e terrorizzare milioni di persone.

     Ma oltre ad usare il sonoro per creare un contrasto tra questi due personaggi, Chaplin lo utilizza anche per realizzare delle gag esilaranti, come nei precedenti film: quando Hynkel sta’ dettando una lunghissima lettera in tomanico alla sua segretaria che invece batte solo tre colpi sulla macchina da scrivere, o nella scena delle monete nei budini, che fanno un buffo suono nello stomaco del barbiere, episodio che si può comparare a quello del fischietto in City Lights e dell’indigestione in Modern Times; ciò che però differenzia The Great Dictator da questi ultimi due film non è solo l’uso dei dialoghi, ma anche l’impiego della musica che ha un ruolo meno importante.

     The Great Dictator è un film che va ricordato anche per la morte di Charlot; Chaplin non farà rivivere mai più il suo eterno vagabondo, che da ormai venticinque anni era presente sugli schermi di tutto il mondo. E proprio per contrasto a tanti anni di silenzio Charlot esce di scena con un interminabile discorso sulla pace e sulla fraternità di ben sei minuti, un discorso che ha fatto discutere molto e che ha diviso la critica: "il linguaggio di Chaplin suona male sulle labbra di Charlot: è troppo banalmente moralistico e filosofeggiante", "era un errore che Charlot si mettesse a fare della propaganda", ma "per due decenni Chaplin ha rappresentato i sogni di un povero vagabondo che puntualmente crollavano con la fredda luce del giorno. Qui le illusioni del vagabondo diventano le delusioni di grandezza di un dittatore", oppure Paul Goodman trovava potente l’invettiva contro Hynkel e a differenza di altri "non trovava nemmeno incongruo il discorso finale ai soldati: -Se non è un discorso sincero che viene dal cuore, vuol dire che per venticinque anni siamo stati ingannati-".

     Comunque sia vari orientamenti criticarono Chaplin di banalità e luoghi comuni: i reazionari lo accusarono di propaganda comunista, mentre i radicali di sinistra lo contestarono per la sua ingenuità, ma per fortuna il pubblico parve accettarlo senza problemi. Il suo discorso fu utilizzato in molte occasioni: Rob Wagner, suo vecchio amico, lo inserì in numero della sua rivista; Archie Mayo, noto regista dell’epoca, lo stampò sui suoi biglietti di auguri per il natale del 1940, il partito comunista inglese lo stampò in un fascicolo speciale.

     C’egrave; anche chi sostiene che "riascoltato a distanza di oltre mezzo secolo, il testo svela per la sua immediatezza, una toccante carica emotiva", soprattutto perché si ha la sensazione che il clown ceda il passo al profeta e che Chaplin abbia voluta far uscire di scena Charlot facendogli dire delle cose in cui lui stesso credesse. D’altra parte è evidente come sia in Modern Times che in The Great Dictator voglia introdurre nel linguaggio di Charlot i suoi concetti politici e sociali e tutta la sua polemica contro la società e l’industrializzazione.

     Abbiamo dunque analizzato come a poco a poco anche la genialità di Chaplin abbia dovuto cedere alla tirannia del sonoro, ma probabilmente è stato proprio in questo che si è vista la sua grandezza: è riuscito a stare al passo con i tempi senza perdere la sua identità, cosa che altri grandi artisti non sono stati in grado di fare; va anche detto che però Charles Chaplin restò sempre il grande maestro della pantomima", da cui completamente non si staccò mai. Appena gli fu possibile continuò ad introdurre sempre dei numeri di esilaranti pantomime; non dimentichiamo che nello stesso The Great Dictator due tra le scene più famose si basano solo ed esclusivamente sulla comicità della sua straordinaria abilità mimica: una è il notissimo balletto di Hynkel con il mappamondo, e l’altra è mentre il barbiere sta radendo la barba ad un cliente a tempo con la danza ungherese trasmessa alla radio; oppure basti ricordare che dopo ormai più di venti anni di cinema sonoro, Chaplin riuscì a portare con successo sugli schermi ancora uno straordinario numero pantomimico in Limelight (1952), dove esegue uno storico pezzo comico al fianco di Buster Keaton.

     "Il silenzio, questa grazia universale, quanti di noi ne sanno gioire?"

Charles Chaplin, I miei viaggi.




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(c)1996-97 by Laura Sebastianelli, Georgia Pierucci, Massimiliano D'Ambrosio, Carola Fraleoni, Gabriele Linari, Ambra Canova
Questo materiale è frutto di una ricerca su Charlie Chaplin svolta nell'ambito del corso di "Storia e critica del cinema" della facoltà di Lettere dell'Università di Roma "La Sapienza".