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La musica

Vita nei campi

     Deve voler dire qualcosa il fatto che l’ultima opera portata a termine da Chaplin fu il commento musicale per A Woman of Paris. Ricorda David Robinson : "Chaplin intervenne a tutte le sedute di registrazione agli Anvil Studios di Denham. Gli chiesi se preparare il commento per A Woman of Paris fosse stato un lavoro lungo : -Non lungo- fu la risposta, -Ma per lo più ispirato-".

     E’ il 1975 e l’immortale vagabondo all’età di ottantasei anni dà il suo fiero quanto inconsapevole addio alle scene sotto il segno della musica, sua seconda grande passione. Sua zia, d’altronde, fu drastica nell’affermare: "Se Charlie continuerà a fare cinema, la musica potrà contare su un genio in meno". Chaplin si interessa fin da bambino alla musica; improvvisa al pianoforte e suona il violino. Già ai tempi di The Kid (1921) curò personalmente i temi che dovevano accompagnare i suoi film. La novità del sonoro lo colse sì impreparato per quanto riguarda la parte dialogica, ma non di certo per la parte musicale. Ecco perché City Lights, il suo primo grande film nell’era del sonoro, benché privo di dialoghi si avvale di una splendida e polimerica colonna sonora sincronizzata. Nulla di scontatamente buffo, nessuna traccia della sincronizzazione disneyana per l’accompagnamento delle gag. Una musica semplice, elegante, come la voleva l’autore, in linea con la vicenda.

     Il primo intervento della musica in scena avviene nella prima sequenza. Il vagabondo viene scovato mentre dorme tra le braccia della Prosperità, statua eretta da quella stessa borghesia che ora lo fissa sbalordita disturbando il suo sonno. La tempestiva e goffa discesa di Charlot dalla statua è interrotta da alcune note familiari: l’inno americano. Improvvisamente l’iroso blaterare del sindaco si dissolve e il poliziotto smette di gesticolare, come tutti i presenti: ecco che l’intera folla si trova sull’attenti, compreso Charlot, che porta compostamente la bombetta al cuore, benché si trovi appeso per i calzoni ad una parte della statua.

     Chaplin prosegue il suo ostinato silenzio e in City Lights da per lo più la parola alla musica, che commenti o sia protagonista. Chaplin vola sulle ali della musica per sparare a zero sui difetti e sui ridicoli pavoneggiamenti della borghesia americana. Basta l’inno a far interrompere la bagarre esplosa a causa del minuto vagabondo. Sindaco, scultore e spettatori si presentano per pochi secondi come ridicole statue, cui fa da contro altare un ciondolante Charlot più ironico che mai. L’inno si interrompe, la bagarre ricomincia e torna come sottofondo il commento musicale precedente. L’inno americano recita, in sostanza, e fa da spalla all’irriverente Charlot. D’ora in poi la musica non smetterà di accompagnare e sostenere le splendide immagini del regista londinese.

     La colonna sonora è tutt’altro che semplice e superficiale. Vi si individuano diversi temi, ognuno dei quali ha un suo ruolo all’interno della vicenda, sottolineando o anticipando addirittura determinati avvenimenti. E’ questo ruolo di protagonista, di guida, la vera novità della colonna sonora di City Lights, la cui musica portante è la Violetera. Composta da José Padilla, Chaplin se ne innamorò nel 1926, dopo averla sentita cantare da Raquel Meller e la introdusse nel film per accompagnare le vicende della fioraia cieca. I temi "appositamente creati da Chaplin comprendevano una fanfara, un motivo melodrammatico una frase di violoncello per il vagabondo, un misto di parodia dell’opera lirica e di romanze lacrimose stile Al Jolson per i tentativi di suicidi, un sottofondo jazz per il night club, una combinazione di tango in crescendo per il match di boxe".

     E’ significativo il fatto che una così composta colonna sonora fu sincronizzata in cinque giorni, un risultato fin troppo rapido per un film la cui lavorazione era durata più di due anni.

     In sostanza è la musica a parlare in City Lights, ci guida nel mondo delle emozioni di Charlot e dei personaggi che lo circondano.

     Ad esempio, il primo incontro tra Charlot e la fioraia. La Violetera accompagna la scena dall’inizio, ma ad un certo punto, si interrompe. La fioraia è chinata a terra per cercare il fiore che Charlot ha già raccolto. La didascalia recita : - L’avete raccolto, signore ? -

     A questo punto l’animo del protagonista resta sospeso tra lo stupore della scoperta ed un senso di compassione per la bella fanciulla rivelatasi cieca. La musica si blocca ed il silenzio improvviso porta con se l’attenzione dello spettatore per immergerlo direttamente nello spirito della scena; un po' lo stesso valore che ha la pausa nella recitazione, specie in quella teatrale. La musica riprende, poi, ma carica di un nuovo valore sentimentale. Il contatto tra Charlot e la fioraia è avvenuto dal punto di vista anche spirituale.

     Poche scene, nella storia del cinema, hanno toccato punte di così alta drammaticità. Altrettanto avviene nella sequenza successiva, in cui la musica ci descrive l’unica didascalia presente, una sola parola, pronunciata dalla ragazza tornata a casa dopo un’intensa giornata di lavoro: -Nonna !-

     Grazie a questa esclamazione comprendiamo la condizione di orfana della fioraia che, successivamente, orienta verso la finestra aperta il grammofono. Da questo, come semplice sottofondo musicale sovrapposto, ci giungono delle note dolcissime assieme alle immagini della ragazza con lo sguardo perso nel vuoto, ma carico di speranza. Nella sequenza in cui il vagabondo si reca a trovare la fioraia convalescente, la musica ha un ruolo fondamentale perché divide la scena in tre momenti diversi, caratterizzati da tre temi distinti: il tema sentimentale, il tema comico, per la gag del gilet, il tema tragico, per la scoperta dello sfratto.

     La sequenza che più di tutte incarna il valore tragicomico delle vicende di Charlot è quella dell’incontro di boxe.

     La musica insegue il ritmo scatenato dei due pugili ballerini durante le loro impareggiabili piroette, che arrivano a coinvolgere persino l’arbitro. Alla fine dell’incontro la musica si fa’ più solenne, più severa: Charlot cade a terra stremato; sconfitto viene trasportato nello spogliatoio e sdraiato su di un tavolo ancora privo di sensi. Non fa neanche in tempo a riprendersi che un guantone, cadendo dall’alto, lo colpisce sulla testa: è nuovamente sconfitto e la musica riprende inesorabile, identica a quella del primo knock out.

     E’ importante come Chaplin, in linea generale, cercasse di distaccarsi dal leitmotiv, in altre parole da quel motivo conduttore molto in voga nei film dell’epoca, componendo ogni volta la musica più adatta per ogni momento. Le melodie subiscono continue variazioni e sospensioni, che fanno parlare le immagini toccando toni di alta liricità. Per esempio, nella sequenza in cui avviene il secondo incontro tra il vagabondo e la fioraia: Charlot le compra, fingendosi ricco, tutti i fiori con i soldi del milionario e la accompagna a casa. La musica è soave come al momento del loro primo incontro: è ancora la Violetera che continuerà a sottolineare tutto il romanticismo di questi istanti. Poi, però, il vagabondo prende la mano della fioraia per baciarla: qui la musica si interrompe lasciando parlare le immagini che esprimono meglio di qualsiasi commento la poesia, l’idillio, il sogno del momento. Un nuovo tema musicale, a bacio avvenuto, inizierà ad accompagnare le immagini.

     Un altro esempio in cui la musica, in City Lights, descrive e rappresenta momenti positivi, sentimenti delicati e quindi anche la bontà di Charlot è presente nella sequenza del primo incontro con il milionario. E’ notte ed il minuto vagabondo si avvia verso il molo con aria sognante, le variazioni musicali accompagnano la sua discesa ed il buffo gesto con cui spolvera la panchina prima di sedersi.

     La melodia ci suggerisce poi i suoi pensieri d’amore, interrotti dalla presenza del milionario suicida. La musica si riempie di patos, l’uomo si leva il cappio al collo, ma Charlot, tempestivamente, cerca di dissuaderlo dal fatale gesto e la musica si addolcisce. L’altro, però, in preda ad un vero e proprio raptus, sembra deciso: vuole farla finita; la musica si fa più incalzante ed accompagna una serie di trovate comiche molto divertenti. Il tonfo in acqua di Charlot è guidato da un suono che ci suggerisce il rumore delle goccioline; la caduta della pietra sul suo piede e la sua successiva reazione sono scandite da una musica ritmata.

     Una nuova musica conduce la serie di gag successive, anche quando i due, ristabilita la calma, si avviano a festeggiare. Ma ecco che, in cima alle scale, il vagabondo si blocca e torna a prendere il suo fiore. E’ ora la Violetera ad accompagnare la sua azione. Questa melodia tornerà ancora, sia per riportare alla mente dello spettatore la fioraia, sia per accompagnarne direttamente le vicende.

     Nella sequenza successiva, quella del secondo tentativo di suicido del milionario, torna la parodia dell’opera lirica e le drammatiche note che avevano accompagnato quello precedente.

     Il milionario spara un colpo e la musica si interrompe. Il silenzio è rotto solo dal suono del pianoforte, su cui egli si è appoggiato.

     Ma, improvvisamente, quest’ultimo esulta: -No, voglio vivere!- ed esplode una musica veloce e chiassosa di festeggiamenti. Questa fa da doppio ponte con la scena successiva. Innanzi tutto si chiude sull’aprire delle prime immagini del night; in questo modo il motivetto collega direttamente le due sequenze, rompendo la cesura del montaggio visivo.

     In secondo luogo questa stessa musica riprende, nella sequenza del night, suonata dall’orchestra, richiamando così il tema dei festeggiamenti per dare inizio alle danze.

     Gli ultimi esempi di drammaticità chapliniana possono essere rappresentati dalle ultime tre sequenze del film.

     Il vagabondo, sfuggito dalle grinfie della polizia, con in tasca i mille dollari del milionario, si reca a casa della ragazza, dandole parte di quei soldi per pagare l’affitto e l’operazione agli occhi. La fioraia, incredula e felice, bacia commossa le mani del vagabondo che, intenerito dal gesto, le dà il resto dei soldi senza serbare nulla per se. Il momento è molto amaro, il vagabondo è costretto a dire addio alla fanciulla e a fuggire. La musica da dolce e romantica si trasforma in triste e drammatica accompagnando le lacrime e la disperazione della fioraia. Poco dopo Charlot viene arrestato.

     Lo scorrere del tempo è scandito dallo staccarsi dei fogli dal calendario, seguito da una musica che ci descrive tutta la solitudine e la sofferenza del vagabondo sfortunato.

     Ormai, la giovane fioraia è diventata una donna benestante e vedente. Sogna un amore borghese e crede di vedere il suo benefattore nella figura di un gentiluomo che le ordina dei fiori. Nel frattempo Charlot, uscito dalla prigione, cammina senza accorgersene vicino alla vetrina del negozio di fiori. Nel momento in cui egli si accorge della ragazza, la musica significativamente si interrompe. Pochi secondi di sospensione e poi, con il commosso sorriso di Charlot, riprende anche la musica, elegante e romantica. Un breve scambio di sguardi per permettere un nuovo contatto fisico tra i due. Nel toccare quella mano, nel riconoscere quell’uomo, il sorriso della donna sfuma in uno sguardo disperato di compassione e delusione. La musica si interrompe ancora. Nel breve silenzio i due sguardi si confrontano: un baratro sociale si è aperto tra i due. La musica riprende sull’ambiguo finale del film che ci lascia molti dubbi sulla vita futura di questo amore.

     Chaplin, quindi, non si serve solo del suono ma utilizza anche il silenzio con una singolare intelligenza: "l’accompagnamento musicale si interrompe negli attimi più commoventi, accrescendo con il silenzio la loro intensità, anche quando Charlot, girando la testa, riconosce d’improvviso la ragazza. La toccante espressione dei suoi occhi non ha bisogno di commenti, tanto meno musicali. E quando la musica riappare è come una dolce melodia, tenera e semplice tra i fiori e gli sguardi che sono, per l’anima inquieta di Charlot, le luci della città".



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(c)1996-97 by Laura Sebastianelli, Georgia Pierucci, Massimiliano D'Ambrosio, Carola Fraleoni, Gabriele Linari, Ambra Canova
Questo materiale è frutto di una ricerca su Charlie Chaplin svolta nell'ambito del corso di "Storia e critica del cinema" della facoltà di Lettere dell'Università di Roma "La Sapienza".