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City Lights: un film di resistenza

City Lights

     City Lights può essere considerato per diversi fattori un film di coraggiosa resistenza, che pur essendo girato in un periodo di grandi cambiamenti delle tecniche cinematografiche, ha saputo mantenere nel suo stile narrativo delle caratteristiche tipiche del cinema degli anni venti. Analizzando però con maggiore attenzione le tecniche di realizzazione di City Lights, ci rendiamo conto che Chaplin dovette rompere alcuni legami con il passato. Già durante la realizzazione di The Circus si erano compiute due rivoluzioni tecniche ineluttabili, meno spesso sottolineate di quella del sonoro, ma alle quali Chaplin dovette comunque sottomettersi. La prima di queste innovazioni fu la sostituzione della pellicola ortocromatica con quella pancromatica, sensibile a tutte le variazioni di luce e che per questo riusciva a riprodurre tutta la gamma di grigi, le immagini non erano dunque più caratterizzate dal forte contrasto bianco-nero, ma ogni ombra era riprodotta sullo schermo. Questo cambiamento portò a Chaplin non pochi problemi; infatti le nuove immagini evidenziavano l'invecchiamento dell'attore e quindi corrodevano il personaggio; questo costrinse Chaplin a marcare maggiormente il trucco, scurire i baffetti e i capelli e a schiarire ancora di più il viso. Un'altra innovazione importante per City Lights fu il passaggio dalla pellicola a 16/18 mm tipica del cinema muto, a quella a 24 mm tipica del sonoro. Ciò portò ad uno stringimento della grana temporale, che diede ai movimenti rapidi un'andatura differente, più smorzata. Questa accelerazione della ripresa e della proiezione era resa necessaria dalla tecnica del suono ottico. Le tecniche cinematografiche progredivano e Chaplin le accettava e si adeguava ad esse, apportando a volte dei cambiamenti nel suo modo di recitare. Ma la fantastica scoperta, come tutti la definivano, che Chaplin proprio non riusciva ad inserire nel suo modo di fare cinema, era il sonoro ed in particolare i dialoghi e le parole. Chaplin si dichiarò subito nemico del film parlato e non riuscì a concepirne uno con dei dialoghi che si dovevano sincronizzare alle immagini. Questa operazione avrebbe reso più difficile la comprensione del film perché il cervello esige del tempo per passare dall'espressione verbale alla assimilazione temporale, e avrebbe privato il cinematografo di una parte del suo pubblico, in particolare di quello infantile.

     Inoltre Chaplin si dimostrò più lungimirante di molti altri cineasti, infatti capì subito quale altro problema avrebbe causato la parola sullo schermo: è vero che da un lato questa avrebbe reso le immagini più realistiche, ma dall'altro nasceva il problema della lingua, dei confini, non più un cinema internazionale capito da tutti i popoli, dall' America all'Europa all'Asia, ma un cinema specifico capito a pieno solo da chi conosceva bene la lingua. I film americani sarebbero stati capiti solo dai popoli di lingua inglese, mentre Chaplin era consapevole che la sua pantomima a cui aveva tanto lavorato e nella quale si era così minuziosamente specializzato, era una forma di linguaggio capita da tutti, non solo da tutti i popoli, ma anche dagli spettatori di ogni età; ogni gesto, ogni movimento era così preciso, ogni sguardo era così limpido che non poteva essere frainteso. La pantomima chapliniana costituita da gesti, mimica e atteggiamenti era utilizzata per esprimere stati d'animo e sensazioni, ma soprattutto per sostituire in ogni momento la parola. " Ogni singola parola sarebbe stata per questo una macchia nei film di Chaplin ".

     Charlot utilizzava una vasta gamma di gesti che sostituivano in tutto e per tutto il parlato, sia nei momenti di circostanza, in cui i gesti segno o gesti sociali traducevano convenzionalmente emozioni e stati d'animo, sia nei momenti di personale riflessione, in cui utilizzava i gesti espressivi al posto del monologo interiore. E' evidente questa distinzione nelle scene di City Lights, in cui Charlot incontra la fanciulla, ed in modo particolare nella scena in cui le porta da mangiare a casa: ogni volta che le si avvicina prendono il sopravvento i gesti sociali, ma non appena se ne allontana anche soltanto di pochi passi, d'improvviso prevalgono i gesti espressivi. Chaplin in questo modo riusciva a creare un'interferenza tra le due sfere dell'agire umano, sociale e personale .Il gesto segno, ottenuto con la mimica del volto, poteva legarsi alla gesticolazione della mano per esprimere un sentimento diverso da quello espresso con il solo gesto. "La pantomima", secondo Chaplin, "ha raggiunto nel cinema muto la più alta perfezione; la mimica costituisce la base di qualsivoglia forma di dramma, ma essa costituisce altresì l'essenza e il contenuto del film muto, e deve essere l'essenza anche del film parlato".

     Chaplin impiegò dieci anni per decidersi ad usare la parola, ma sapeva comunque che i suoni ed i rumori erano importanti e per questo decise di introdurne alcuni nel suo film, aumentandone così il pregio e l'interesse del pubblico verso di esso, anche se sarebbe rimasto comunque del tutto muto.

     La cosa importante era che non si utilizzassero i dialoghi, essenzialmente era importante che Charlot non parlasse, altrimenti quale voce avrebbe dovuto avere? Che voce si aspettava il pubblico da questo omino con i pantaloni troppo larghi, la bombetta così piccola, la giacca stretta e le scarpe di due misure più grandi? Un omino così caratteristico e tipizzato avrebbe dovuto avere una voce ed un modo di esprimersi altrettanto caratteristici. Quale poteva essere l'espressione che risultasse altrettanto comica e commovente, incarnazione di gioie e dispiaceri, quanto lo era Charlot?

     Chaplin avrebbe dovuto inventare un modo di esprimersi adatto al suo personaggio, altrettanto diverso dal comune quanto il suo aspetto era diverso da quello di tutti gli altri. Il problema non era sicuramente di facile soluzione, infatti nel suo nuovo film, City Lights, gli artisti non parlavano, in quanto Chaplin avrebbe potuto dare agli altri attori la parola e lasciare solo il vagabondo in silenzio, ma Charlot sarebbe sembrato muto, e questo non poteva verificarsi. Così in City Lights vennero usati solo alcuni effetti sonori, ed uno di questi, che assume anche un effetto comico, corrisponde alla prima volta che sentiamo dei suoni provenire dalla bocca di Charlot. Non sono certo parole, bensì un sibilo causato da un fischietto inghiottito da Charlot e che, a causa del singhiozzo, emette dei suoni in maniera ritmata e molto chiara. Secondo alcuni critici Charlot non affronterà mai un vero e proprio dialogo, Chaplin si, nei panni di altri personaggi, ma gli abiti del vagabondo che avevano ottenuto tanto successo nell'arte del buffomuto non potevano adeguarsi al parlato. Il mutismo di Charlot, tuttavia, con il passare del tempo cominciò a creare dei problemi: Chaplin dovette rinunciare infatti ai primi piani e non poté più avvicinarsi tanto alla machina da presa neppure nelle scene più drammatiche perché, in questo caso, le parole avrebbero dovuto essere udibili; finché era lontano nessuno si aspettava di sentire delle parole pronunciate da Charlot, ma nel momento in cui si avvicinava alla macchina da presa, il pubblico avrebbe finito per credere che l'impianto sonoro fosse difettoso. Questo perché le macchine da presa a cui ci si era ormai abituati registravano fedelmente ogni sorta di rumore, incluso il ronzio che esse stesse producevano e il sibilo dei riflettori.

     Altri problemi si crearono per gli attori stessi, che provenendo in gran parte dal cinema muto e abituati a sentire intorno a loro il vociare ininterrotto del set, trovavano difficoltà a recitare nel silenzio assoluto.

     Chaplin utilizzò comunque nel suo film attori che avevano già lavorato con lui, per evitare i problemi dovuti al sonoro; persone dunque fidate, che sapevano ciò che Chaplin desiderava e che erano capaci di fare ancora tesoro di quella grande forma di arte che era la pantomima.



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(c)1996-97 by Laura Sebastianelli, Georgia Pierucci, Massimiliano D'Ambrosio, Carola Fraleoni, Gabriele Linari, Ambra Canova
Questo materiale è frutto di una ricerca su Charlie Chaplin svolta nell'ambito del corso di "Storia e critica del cinema" della facoltà di Lettere dell'Università di Roma "La Sapienza".